giovedì 18 giugno 2020

CEMENTO: EMISSIONI CO2 E CROMO ESAVALENTE

I materiali edili, essendo inerti, da molti vengono considerati innocui. In realtà hanno un notevole impatto sulla salute delle persone e sull’ambiente, per questo è necessaria una maggiore attenzione da parte di progettisti, costruttori e committenti al momento della scelta. Prendiamo in considerazione un materiale molto amato in edilizia: il cemento. Sapevi che il cemento contiene Cromo esavalente? Sapevi che il cemento è uno dei maggiori responsabili delle emissioni di CO2 al mondo?

cemento emissioni CO2 e cromo esavalente

Impatto sull’ambiente: cemento ed emissioni CO2


Il calcestruzzo (il cui legante è il cemento) è il materiale artificiale più utilizzato al mondo. È secondo solo all'acqua come risorsa più consumata sul pianeta. Ma sebbene il cemento - ingrediente chiave del calcestruzzo - abbia plasmato gran parte del nostro ambiente costruito, va detto che esso ha anche una pesante impronta di carbonio: è la fonte di circa l'8% delle emissioni mondiali di anidride carbonica (CO2). Se l'industria del cemento fosse un paese, sarebbe il terzo per emissioni inquinanti, dopo Cina e Stati Uniti. (fonte: The Guardian)

Il cemento è il materiale fondamentale per la maggior parte delle costruzioni. Di fatto è il principale materiale in tutto il mondo per la realizzazione di palazzi, parcheggi, ponti, dighe; sia perché si può produrre quasi ovunque, sia perché ha qualità strutturali ideali nonostante i noti problemi di durabilità legati alla interazione con le armature in acciaio, e nonostante le conoscenze attuali ci permettano di usare altri materiali da costruzione più sostenibili.

Se è vero che il cemento e il calcestruzzo sono stati usati per costruire fin dall’antichità, quello che oggi utilizziamo (cemento Portland) è frutto di un’evoluzione moderna, di un processo di cottura e macinazione di calcare e argilla brevettato all'inizio del XIX secolo. La produzione comporta l'estrazione della materia prima - che causa inquinamento atmosferico sotto forma di polvere - e la cottura con l'uso di forni che richiedono grandi quantità di energia. Nel complesso l’intero processo chimico di produzione del cemento emette livelli incredibilmente alti di CO2.

Se da un lato le aziende hanno migliorato l'efficienza energetica nella produzione utilizzando materiali di scarto per la combustione, è innegabile che l’industria debba cercare di rivedere tutto il processo di produzione del cemento, non solo riducendo l'uso di combustibili fossili.
C’è poi da dire che la produzione di cemento richiede enormi quantità di acqua, pari a circa un decimo della quantità totale utilizzata nel settore industriale.

Ma ci sono altri impatti sull’ambiente e sulle persone che forse sono ancora meno conosciuti.

produzione cemento
Impatto sulle persone: cemento e Cromo esavalente

Il contenuto di Cromo VI nel cemento è legato principalmente alle materie prime e ai combustibili impiegati nel processo produttivo. Purtroppo però non può essere controllato agendo direttamente su questi due componenti, quindi per mantenere il livello di Cromo esavalente nel cemento al di sotto del limite imposto dalla norma, le aziende provvedono con l’aggiunta di additivi che funzionano come “riducenti”. Questi additivi sono: solfato stannoso e solfato ferroso, prevalentemente sotto forma di polveri. L’efficacia di questi agenti riducenti è influenzata dalle condizioni di conservazione del cemento (ventilazione, umidità, temperatura) ed è limitata nel tempo. Per questo motivo il cemento deve essere sempre conservato in luoghi freschi e asciutti, garantendo l’integrità delle confezioni; inoltre sull’imballaggio del cemento o dei preparati contenenti cemento deve essere riportata la data di confezionamento, le condizioni e il periodo di conservazione, cioè la scadenza!

Alla scadenza il cemento non perde le sue caratteristiche prestazionali, ma per essere utilizzato dovrà essere nuovamente additivato con riducenti del Cromo esavalente per essere impiegato in “sicurezza”. ( Aitec)

Nonostante la limitazione del contenuto di Cromo VI è sempre raccomandabile l’uso di particolari accortezze nella manipolazione del cemento bagnato (fondamentale quindi l’uso di guanti e al termine delle lavorazioni anche se si sono usati guanti è buona regola lavarsi le mani con acqua tiepida e sapone neutro). Questo perché il contatto diretto con il cemento bagnato può avere conseguenze sulla pelle: da irritazioni dovute all’alcalinità del materiale fino a fenomeni allergici dovuti proprio al Cromo esavalente. E’ giusto ricordare infatti che si tratta di un “agente cancerogeno (gruppo 1 IARC) dotato anche di effetti tossici non cancerogeni per esposizioni croniche attraverso differenti vie (inalatoria, per ingestione, per contatto cutaneo)” (fonte:ISDE- Associazione Medici per l’Ambiente Italia)

Il contenuto di Cromo esavalente nel cemento è regolamentato in Italia dal 2005 con un Decreto del Ministero della Salute di recepimento della relativa direttiva Europea. In particolare il cemento e i preparati contenenti cemento non possono essere commercializzati o utilizzati se contengono, una volta mescolati con acqua, oltre lo 0,0002% (2 ppm) di Cromo VI rispetto al peso totale del materiale a secco.

cemento emissioni CO2 e cromo esavalente

Conclusioni

Non rimane altro da aggiungere se non ribadire che è importantissimo prestare estrema attenzione alle scelte progettuali e realizzative. Per questo è sempre opportuno rivolgersi a chi conosce i materiali edili e può correttamente valutarne la pericolosità. Per quello che riguarda il cemento è sicuramente opportuna una sua limitazione all’uso esclusivamente strutturale dove non si possa svolgere la stessa funzione con altri materiali, e porre molta attenzione alle fasi di cantiere sia per la salute degli operatori che per il corretto smaltimento dei residui.


Sperando che questo articolo sia stato utile e interessante, ti chiedo di condividerlo per la sensibilizzazione del maggior numero di persone. Grazie

Giulia Bertolucci architetto



Per approfondimenti sul tema degli impatti del cemento sul territorio e le comunità consiglio il libro "Le conseguenze del cemento" di Luca Martinelli di cui ho parlato QUI

Giulia Bertolucci
architetto,
molto attiva in ambito associativo e nel proprio ordine professionale, da sempre interessata alla bioarchitettura si occupa di biocompatibilità e sostenibilità ambientale degli interventi edilizi, risparmio energetico e qualità dei materiali dell'architettura.

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giovedì 4 giugno 2020

ERRORI DA EVITARE PER ISOLARE IL TETTO

E' sempre corretto isolare il tetto e realizzare una copertura ventilata?
E' capitato poco tempo fa che un cliente mi abbia posto questa domanda riguardo ad un intervento proposto da alcune ditte. Ormai è ampiamente chiaro che il tetto va isolato, ma non sempre è la cosa giusta da fare, capita che alcune ditte suggeriscano di fare il tetto ventilato, considerandolo come qualcosa di “innovativo”, senza pensare che l'abbinamento tra le due tecniche non è sempre corretto. Infatti per questo cliente la soluzione sarebbe stata solo uno spreco di soldi, vediamo perché.

errori da evitare per isolare tetto

Prima di rispondere alla domanda devono essere chiari 4 aspetti fondamentali.

1) Il tetto è la superficie disperdente che in inverno contribuisce maggiormente alle perdite di calore per la sua estensione, forma e posizione. 

Vari sono i componenti che concorrono alle dispersioni tramite l'involucro edilizio; ci sono le pareti, il tetto, le finestre, i pavimenti e la ventilazione, tutti questi possono variare in funzione della zona, urbana o meno, degli ombreggiamenti e delle condizioni di ventilazione della zona. In particolare il tetto può incidere sulle dispersioni totali di un fabbricato tra il 15 e il 30%, a seconda della tipologia di edificio. 

dispersioni termiche

2) Il tetto in estate è la superficie sulla quale irraggiamento solare incide maggiormente. Per spiegare meglio ti mostro una simulazione riguardo all'irraggiamento solare in Wh/mq nelle varie ore del giorno, per tutto l'arco dell'anno e per diverse inclinazioni. Nei grafici l'area blu corrisponde alle ore notturne, la parte celeste ha una radiazione solare da 158 a 316 Wh/mq, quella rossa da 316 a 474 Wh/mq, mentre il rosso più scuro ha valori di radiazione superiori a 474 Wh/mq.

irraggiamento solare

I primi tre grafici corrispondono alla situazione in caso di esposizione a sud e inclinazione di 0°(tetto piano), 30° e 60°. Da questi si capisce come all'aumentare della pendenza diminuisce il picco massimo estivo e allo stesso tempo l’irraggiamento si distribuisce più uniformemente durante tutto l'arco dell'anno.
I tre grafici in basso invece mettono a confronto il possibile irraggiamento di superfici verticali rivolte sia verso sud, che verso est ed ovest. Da queste è chiaro che le facciate hanno l'irraggiamento quasi dimezzato rispetto a quello della copertura.

Quindi in estate un qualsiasi tetto esposto ad irraggiamento solare può raggiungere temperature molto elevate, fino a 70°C, specialmente un tetto piano, di conseguenza può portare ad un elevato surriscaldamento dei locali sottostanti (se non isolati correttamente).

3) Non si può generalizzare parlando di tetto, le tipologie di copertura non sono tutte uguali e sono cambiate molto nei secoli: era consuetudine nella tradizione che l'ultimo piano delle abitazioni ospitasse dei locali non abitabili che venivano utilizzati a servizio degli ambienti principali, (ho visto sottotetti in zone urbane utilizzati per allevamento animali da cortile). Si tratta di ambienti areati o areabili che aiutavano in inverno ad asciugare le infiltrazioni di pioggia e in estate a ridurre il surriscaldamento estivo. Nell'ultimo secolo è diventata consuetudine abitare anche i sottotetti, grazie all'introduzione di nuove tecnologie che hanno permesso di ottenere maggior comfort per mezzo di impermeabilizzazioni più efficaci per tutte le tipologie di copertura, tetti piani compresi.
tipologie di tettoTenendo conto solo di soluzioni senza isolamento si possono individuare 4 tipologie:
A) Copertura non isolata, non ventilata
1) sottotetto abitato
2) sottotetto NON abitato
È la tipologia più semplice dove ci sono solo gli elementi strutturali, e non è presente né lo strato termoisolante, né quello di ventilazione.

B) Copertura non isolata ma ventilata
1) sottotetto abitato
2) sottotetto NON abitato
Prevedono la sola presenza di uno strato di ventilazione, che può essere posto al di sotto del manto di coppi o tegole, oppure ottenuto con la ventilazione dei locali sottotetto.


4) Che cosa è il tetto ventilato e come funziona?
Il tetto ventilato ha la funzione principale di riuscire a ridurre carichi termici estivi (il surriscaldamento) e aiutare la trasmigrazione del vapore acqueo dall'interno verso l'esterno riducendo i rischi di condense interstiziali e di conseguenza ridurre la possibilità di insorgenza delle muffe. L'importanza ed efficacia di questa soluzione tecnica è dimostrata da molti studi universitari (vedi il post dedicato al Tetto ventilato).

Conclusione
Detto questo ora posso rispondere in 4 modi diversi alla domanda da cui sono partito: E' corretto isolare il tetto e realizzare una copertura ventilata?

1) SI, se ho un tetto con falde inclinate e sottotetto abitabile è consigliato isolare il tetto e realizzare una copertura ventilata (le caratteristiche le trovi indicate nel post dedicato al tetto ventilato)

2) NO, se ho un tetto a falde inclinate con sottotetto non abitabile e non ventilato (soffitta chiusa) è consigliato realizzare un tetto ventilato e mettere l'isolamento sul pavimento della soffitta.

3) NO, se ho un tetto con falde inclinate (oppure piano) e sottotetto non abitabile, ma ventilato (ad esempio la classica soffitta con aperture in facciata), è consigliata una copertura non ventilata in falda, ed è ottimo il mantenimento della ventilazione della soffitta, ma per migliorare le prestazioni e ridurre la dispersione di calore l'isolamento andrebbe posto sul pavimento della soffitta stessa.

4) SI, se ho un tetto piano con sottotetto abitabile è opportuno isolare il tetto e ancora meglio si può realizzare una copertura ventilata, ma artificialmente.



Come vedi hai il 50% delle possibilità di sbagliare e il mio cliente si trovava nella situazione n. 3) con tetto a falde inclinate e sottotetto non abitabile ma ventilato, la soluzione che gli era stata proposta da altri di isolare le falde del tetto e realizzare una camera di ventilazione era SBAGLIATA perché aveva già la soffitta ventilata. E’ come comprare un cappello di lana perché si ha freddo alla testa e indossarlo sopra un cappello di paglia, non porta alcun beneficio, anzi sarebbe una spesa INUTILE.

Esistono diverse tecniche per migliorare l'isolamento termico del tetto, un esperto è in grado di individuare la migliore soluzione per la tua casa.
Spesso si pensa di spendere meno facendo da soli, ma è opportuno farsi aiutare da tecnici competenti.



Se hai apprezzato questo contributo informativo e pensi possa interessare altri, condividilo. Grazie.



Rodolfo Collodi architetto


Rodolfo Collodi 
architetto
Libero professionista, socio qualificato Istituto Nazionale di BioARchitettura, presidente della sezione INBAR di Lucca dal 2015.
Docente in corsi e convegni INBAR e di altri numerosi enti nazionali, sui temi della gestione delle risorse, del risparmio energetico e della certificazione energetica.
Nel corso degli anni ha prestato la sua opera all'interno di tavoli di lavoro provinciali e regionali per la modifica dei regolamenti edilizi ai fini dell'incentivazione dell'edilizia sostenibile. All'interno dello Studio associato di progettazione  Architettura x Sostenibilità, si occupa di sostenibilità ambientale degli interventi edilizi, risparmio energetico e certificazione energetica, nonché di qualità dei materiali dell'architettura.
Svolge attività di ricerca, in collaborazione con ditte e associazioni, per la costruzione di edifici in balle di paglia e case in terra cruda.
Autore della ultima revisione del Sistema nazionale di Certificazione Energetico Ambientale, comunemente definito Marchio INBAR.

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