giovedì 13 ottobre 2016

COME DEPURARE LE ACQUE DI SCARICO IN MODO ECOLOGICO

Hai una casa lontano dalla linea della fognatura pubblica? Hai una casa in zona agricola senza opere di urbanizzazione? Hai un agriturismo? Vuoi essere meno impattante sull'ambiente?
Se ti trovi in uno di questi casi non puoi non valutare l'opportunità di fare una fitodepurazione delle tue acque di scarico per poterle reimmettere nell'ambiente senza doverti collegare alla fognatura pubblica!




E' incredibile ma ancora una volta la natura ci viene incontro per metabolizzare le nostre schifezze.
Già nell'antichità si era a conoscenza della capacità delle piante di influire sulla qualità delle acque e di ridurre una parte degli inquinanti presenti. Purtroppo i corsi d'acqua e le zone lagunari o gli stagni erano anche portatori di insetti e per questo sono stati ritenuti zone poco salubri, da bonificare. Oggi però abbiamo compreso realmente quanto efficaci possono essere le piante per la depurazione delle acque. Esse permettono di ridurre le quantità di inquinanti dovute al metabolismo umano e di reimmettere in ambiente delle acque depurate, spesso in modo migliore rispetto a quelle ottenute con i classici depuratori.

Ma la fitodepurazione si può usare solo in aperta campagna?

No, infatti esistono interi quartieri e paesi e città che depurano in modo ecologico le proprie acque di scarico grazie all’utilizzo delle piante. Ecolonia oppure Berlino possono essere buoni esempi. L'intero quartiere di Potsdamerplaz (di cui vedi le foto in questo post) realizzato in ampliamento della capitale tedesca ha un sistema di lagunaggio, integrato con gli edifici e con gli spazi pubblici, per l'affinamento delle acque raccolte. Queste una volta depurate e rivitalizzate attraverso fontane, vengono riutilizzate per irrigazione e altri usi compatibili, infine reimmessa nel fiume Sprea.



Ma è difficile realizzare un impianto per depurare le acque di scarico in modo ecologico?
La risposta è sostanzialmente NO, ma si devono applicare degli accorgimenti per fare in modo che tutto funzioni. Tutto questo vale ovviamente se lo vuoi realizzare in autonomia. Nel caso contrario hai due possibilità: la prima è chiamare una ditta specializzata che farà tutto il lavoro, la seconda è acquistare un kit con tutti i componenti.

Per decidere quale strada seguire (autocostruire o appaltare) ti può essere utile sapere in cosa consiste una fitodepurazione.

Brevemente, dato che in rete si trovano già molte informazioni, posso dire che un impianto di fitodepurazione è un sistema abbastanza semplice in cui il connubio tra suolo e piante permette di sviluppare condizioni ideali per i processi depurativi, riproducendo quello che avviene in maniera naturale. Si tratta di un letto ottenuto tramite uno scavo impermeabilizzato con un telo (tipo polietilene ad alta densità) o con bentonite sodica, su cui viene disposto e livellato uno strato di ghiaia di varia pezzatura, il più possibile permeabile all’acqua e ai liquidi, in cui le piante sono messe a dimora, risultando con le radici immerse. In questo tipo di impianto il refluo percola attraverso la ghiaia fino alla base delle radici e, grazie ad un legame sia fisico che chimico con gli inerti, sia alle piante, sia ai batteri che si sviluppano nell'apparato radicale, viene filtrato, depurato e reimmesso in ambiente.
L’efficacia depurativa delle piante è data sia dall'assorbimento di alcuni inquinanti, sia perché riescono a mantenere permeabile il substrato permettendo lo sviluppo di batteri aerobici in grado di depurare la maggior parte degli inquinanti.

schemi: sopra sistema flusso superficiale; sotto sistema a flusso sommerso

Per quanto riguarda le tecniche di fitodepurazione esistono diversi sistemi classificati a seconda di come il refluo entra e scorre nell'impianto e della tipologia di piante. Si tratta di sistemi a macrofite galleggianti o radicate, che a loro volta si dividono in due gruppi: a macrofite radicate sommerse o emergenti.
In base allo scorrimento del refluo quelli che garantiscono una minore efficacia nel trattamento depurativo sono i sistemi a flusso superficiale libero (ad esempio piccoli laghi, o letti di fitodepurazione in cui il liquido passa in superficie), che possono anche portare insetti; maggiore efficacia invece hanno quelli a flusso sommerso, sia orizzontale che verticale, che necessitano inoltre di minor spazio.
Nei sistemi a flusso sommerso il refluo entra nell'area di fitodepurazione, passa tra le radici delle piante (senza sviluppare cattivi odori o attirare insetti), attraversa tutto il letto (scorrendo orizzontalmente o percolando verticalmente) e fuoriesce depurato con un abbattimento di BOD, COD, SS, N e P.

Come è facile da immaginare anche la scelta delle piante è importante ai fini della riuscita e dell'efficacia dell'impianto.

A grandi linee i criteri per la selezione delle piante più adatte si possono riassumere in:
  • adattabilità al clima locale e resistenza ad eventuali condizioni avverse,
  • elevata attività di fotosintesi,
  •  elevata capacità di trasporto dell'ossigeno, 
  • resistenza alle concentrazioni elevate di inquinanti e capacità di assimilazione degli stessi,
  •  resistenza alle malattie, 
  • semplicità di coltivazione e gestione.

La pianta più diffusa e utilizzata per la depurazione è la canna palustre, molto resistente, facile da trovare sul territorio (è addirittura considerata pianta infestante), caratterizzata anche dalla capacità di portare molto ossigeno alle radici.
Le altre specie sono ad esempio il giunco di palude, oppure la mazza sorda, o ancora la lenticchia d’acqua, quest'ultima si incontra spesso in bacini o fossi ed è efficace soprattutto per la depurazione dei metalli pesanti. In realtà, nel momento in cui il letto di depurazione dovesse essere anche decorativo, ad esempio quando è vicino o integrato all'abitato, è possibile utilizzare piante idonee alla depurazione e anche ornamentali, che offrono fioriture da marzo a ottobre, come l'iris d'acqua, la canna indica, la talia dealbata, la menta d'acqua, il giacinto d'acqua, la calla,ecc.

 

Questa tipologia di impianto può essere utilizzato sia come trattamento secondario, posto a valle di un trattamento primario che preveda una sedimentazione del refluo e un degrassamento, oppure come trattamento terziario a valle di impianti di depurazione tradizionali in cui l'effluente non raggiunge i limiti imposti dalla normativa.
A seguito di un trattamento di fitodepurazione il refluo è depurato, la sua qualità rientra sicuramente nella tabella 4 del D. Lgs 152/2006 e pertanto può essere raccolto per l'uso in irrigazione, oppure può essere conferito in corpi idrici superficiali (torrenti, fiumi, fosse vicinali ecc), o disperso nel terreno.

Come si dimensiona l'impianto di fitodepurazione?

La progettazione, nonostante l'apparente semplicità, necessita di attenzioni sia per evitare il verificarsi di corto circuito o intasamento idraulico, sia per assicurarsi che il refluo rimanga nel letto almeno una settimana e non passi velocemente andando allo scarico prima dei tempi necessari.

Per quello che riguarda il dimensionamento dei letti per la depurazione naturale esistono delle indicazioni da seguire, diverse a seconda che si tratti di impianti a flusso superficiale o a flusso sommerso. In linea generale si può dire che la superficie minima per il corretto funzionamento è di 20 mq, anche se per il flusso sommerso si può dettagliare meglio in base alla tipologia di scorrimento del refluo. In caso di flusso orizzontale si devono prevedere 5 mq per ogni abitante equivalente, mentre per quello verticale 4 mq ad abitante equivalente. In realtà incidono sul dimensionamento anche la frequenza di utilizzo dell'impianto, cioè se deve servire delle residenze costanti oppure solo stagionali. Mentre per quanto riguarda la profondità del letto influisce sicuramente la tipologia di piante che si scelgono; c'è una ricca letteratura in merito, ma anche qui volendo dare una indicazione generale possono essere giusti dai 70-80 cm e oltre.

Conclusione:

L'impianto di depurazione ecologico si può integrare perfettamente sia in contesti bucolici che urbani. Le piante, se scelte e collocate correttamente, non devono essere rimpiazzate o sostituite, e per il corretto funzionamento non sono necessari apporti elettrici, riducendo così anche i costi di gestione relativi solo alle sporadiche manutenzioni.
Scegliere di depurare con sistemi ecologici non è solo per chi ha stili di vita alternativi, ma lo stesso D.Lgs 152/2006 - Testo Unico sull'Ambiente considera gli impianti di fitodepurazione come trattamento appropriato degli scarichi e promuove il ricorso alla depurazione naturale sia per agglomerati fino a 200 abitanti equivalenti, sia per agglomerati fino a 25000 abitanti equivalenti, in questo secondo caso come trattamento di affinamento.


Rodolfo Collodi architetto

Per approfondimenti ti consiglio la Guida ISPRA


giovedì 29 settembre 2016

L'ACQUA CHE CI BASTA

Il nostro pianeta è sempre raffigurato come un globo ricoperto per il 70% da acqua.
Questa caratteristica ci basta per credere che la risorsa idrica sia praticamente illimitata?

A ben guardare la maggior parte (circa 97%) è acqua salata, un 2,5% circa è costituito dalle acque superficiali, dalle falde in profondità e dai ghiacciai, mentre la porzione disponibile a cui tutti attingiamo per il consumo è soltanto lo 0,1%.

Ma allora come riusciamo a vivere disponendo solo di questa piccolissima percentuale?

Grazie al ciclo idrologico naturale di evaporazione e condensazione, che permette a una quantità finita di acqua di muoversi in un ciclo infinito e di essere utilizzata più volte. La quantità di acqua che si muove all'interno di questo ciclo e la effettiva riutilizzabilità della stessa dipende però dal comportamento umano, cioè da come restituiamo la risorsa all'ambiente.

Generalmente ci si rende conto della sua limitatezza specialmente nei periodi estivi, quando è più evidente che il forte sfruttamento della risorsa pura da parte dell'industria e dell'agricoltura determinano, in alcune zone, scarsità di acqua, ponendo attenzione alla crescente conflittualità d'uso tra i fabbisogni umani e quelli produttivi, e alla necessità di conservazione dei minimi vitali dei corpi idrici.


Infografica riassuntiva, fonte Stockholm International Water Institute (SIWI)

I nostri consumi

Per quanto riguarda gli utilizzi domestici la quantità (media globale) stimata procapite, cioè per abitante equivalente, è pari a 250 litri al giorno:
  • 40% per il bagno
  • 20% altri usi sanitari
  • 10% lavaggio stoviglie
  • 6% usi in cucina
  • 6% lavaggio auto, giardinaggio e altro
  • 12% per il bucato
  • solo 1% reale consumo potabile.

Osservando questi dati è evidente che la quantità di risorsa pregiata di cui abbiamo effettivamente bisogno è quella relativa all'uso potabile, più alcuni usi sanitari, lavaggio stoviglie e cucina (totale 37%), per tutto il resto potremmo non utilizzare acqua potabile bensì una risorsa di qualità meno pregiata, ma comunque adatta all’uso specifico perché depurata.

Se confrontiamo i consumi domestici con l'effettivo utilizzo di acqua dolce potabile anche in altri settori scopriamo che la parte domestica rispetto al totale incide solo per poco meno del 10%, mentre l'industria richiede consumi dal 20 al 25% del totale e l'agricoltura utilizza il 70% della risorsa potabile. A questo poi si devono aggiungere gli sprechi, cioè le perdite da rubinetti e impianti, nonché le perdite dalle condotte di distribuzione sul territorio che arrivano quasi al 50%.

Inoltre le previsioni di crescita demografica e produttiva globale ci dicono che avremo come conseguenza un aumento dei consumi complessivi pari al 18% nei paesi industrializzati e del 50% per i paesi in via di sviluppo. Questo potrà portare quasi la metà della popolazione mondiale ad avere problemi di scarsità di acqua.


VIDEO

Prospettiva di disponibilità dell'acqua potabile

Abbiamo visto che a livello globale la quantità di acqua dolce disponibile è ridotta rispetto al totale delle acque sul pianeta, e che da sempre non abbiamo fatto attenzione al controllo dei consumi, aumentando sempre più la domanda in ogni settore.  
Mettendo in relazione i dati sui consumi in continua crescita e i dati di qualità della risorsa che viene restituita in ambiente, possiamo avere una previsione riguardo alla disponibilità di acqua potabile cui andiamo incontro. La prospettiva peggiore che viene paventata vede il 2050 come il momento in cui arriveremo all'esaurimento dell'acqua dolce potabile disponibile.

Per questo si deve cercare di ridurre i consumi di acqua potabile attraverso:
  1. la eliminazione delle perdite,
  2. l'ottimizzazione impiantistica,
  3. la depurazione con riutilizzo delle acque depurate laddove non c'è necessità di acque potabili.



Per non parlare poi dell'“acqua invisibile”, cioè l'acqua che viene consumata in relazione ai prodotti che vengono acquistati, dalla cui analisi si comprende come ogni comportamento incide sulla disponibilità di risorsa; l'acqua consumata per produrre i beni, che non vediamo, e della cui quantità non ci rendiamo conto; quella il cui consumo rende critica la disponibilità di acqua in molte zone del pianeta.

Facendo sempre riferimento al consumo giornaliero di acqua invisibile per abitante equivalente possiamo confrontare i seguenti dati:
  • uso domestico 140 litri,
  • uso nei prodotti industriali poco meno di 200 litri,
  • uso per la produzione alimentare oltre 3000 litri.

Allora per la tutela della risorsa idrica non è solo l'utilizzo diretto che ci deve interessare, ma anche l'uso indiretto. Questa è una consapevolezza che deve guidare il comportamento quotidiano e spingere ognuno di noi ad un consumo critico. 

Rodolfo Collodi architetto 





giovedì 15 settembre 2016

RISCALDAMENTO RADIANTE: RISPOSTE A DOMANDE FREQUENTI

In un post precedente ho parlato della differenza tra riscaldamento a termosifoni e impianto radiante e ho messo l'attenzione solo sugli aspetti energetici, ma il riscaldamento radiante a pavimento, parete o soffitto ha anche altre caratteristiche che lo rendono preferibile all'impianto tradizionale a termosifoni per quello che riguarda la qualità dell'aria e quindi dal punto di vista del comfort interno e della salubrità. Purtroppo ancora oggi la bontà del riscaldamento radiante è messa in discussione da falsi miti o da osservazioni che, pur partendo da un fondo di verità, ormai suonano in modo bizzarro.



Mi pare doveroso precisare che vivo in un edificio ex industriale ristrutturato una decina di anni fa, isolato e dotato di impianto radiante a parete e soffitto con caldaia a condensazione, quindi quotidianamente sperimento questo tipo di riscaldamento.

Per essere più chiaro possibile cerco di rispondere qui a domande che ricorrono frequentemente:

L'impianto radiante è solo a pavimento?

La risposta è NO. Il riscaldamento a pavimento è forse il più noto e utilizzato, ma esistono altre soluzioni altrettanto interessanti. Il riscaldamento radiante può essere: a pavimento, a soffitto, a parete.
E' bene inoltre dire che non è assolutamente obbligatorio installarne solo uno, cioè è sempre possibile una combinazione di questi tra loro. Per la mia casa ho scelto l'installazione a parete e soffitto, ma ad esempio in caso di riscaldamento a pavimento in stanze piccole che però necessitano di una maggiore temperatura come i bagni, allora può essere utile integrare con una porzione a parete (senza aggiungere il maledetto termoarredo che sarà anche decorativo, ma riduce l'efficienza di tutto l'impianto).

Che caratteristiche devono avere le superfici da cui l'impianto irradia?

Partendo dal fatto che cerchiamo di trasferire il calore prodotto da una caldaia o altro sistema di generazione, attraverso l'acqua, al massetto e al pavimento o all'intonaco, tutti gli elementi che compongono questo sistema più sono conduttori e migliore è il risultato in termini di efficienza e anche di comfort.
Però se andiamo a fare il bilancio di tutto il sistema risulterà che le variazioni sulla resa, dipendenti dal tipo di tubo, o dal tipo di pavimento piuttosto che dell'intonaco, sono minime.
Tant'è che ad esempio tubi di distribuzione in rame vengono utilizzati molto raramente, più spesso si usa il polietilene certamente meno conduttore.

Da questa domanda ne discende subito un'altra molto frequente e cioè

E' vero che il riscaldamento a pavimento non funziona bene se è messo sotto il parquet?

E' vero che il parquet essendo di legno è meno conduttore di una piastrella in ceramica, ed è vero che il massimo irraggiamento si ha quando ogni componente del sistema è molto conduttore. Ma si deve considerare che tra il centimetro di legno e il centimetro di mattonella c'è una differenza di resistenza minima. Quindi se per te è indifferente il tipo di pavimento allora ti consiglio di scegliere la mattonella, ma se preferisci il legno non è certo da farne una malattia. L'importante è avere una distribuzione del calore uniforme e questo lo garantisce il massetto, se poi voglio essere sicuro di non avere una diminuzione di comfort posso maggiorare l'isolamento sotto all'impianto o installare le tubazioni del riscaldamento con un passo un pochino più ravvicinato (ovviamente a seguito di una previsione di progetto).
Qualcuno potrebbe osservare che rimane un altro rischio e cioè che il parquet si sollevi a seguito della dilatazione termica e del diverso comportamento all'umidità, ma questo può accadere più facilmente in caso di superfici ampie e si può risolvere scegliendo la posa flottante.

Il riscaldamento a pavimento porta problemi circolatori (gonfiore di caviglie e gambe)?

Il riscaldamento a pavimento ha origini antiche, ma la tecnologia ha avuto uno sviluppo e una crescente diffusione dagli anni 60-70 in poi. Da allora fortunatamente c'è stata un'evoluzione. All'epoca si facevano impianti con tubature in metallo, senza isolamento, con massetti da 10 cm, caldaie meno performanti e temperature superficiali molto alte. Questo ha portato, soprattutto in soggetti più sensibili, a seri problemi vascolari. Oggi non è più vero. Il controllo delle temperature è molto accurato e gli impianti funzionano comunque a temperature molto basse. Ricordo infatti che per normativa, a fronte di una temperatura di comfort di 20°C, il pavimento non può avere una temperatura superficiale superiore ai 29°C. Quindi molto inferiore anche alla nostra temperatura corporea di 36-37°C.

E' vero che il riscaldamento a pavimento fa risparmiare energia?

Sì il riscaldamento a pavimento e tutti gli impianti radianti permettono di raggiungere un'alta efficienza energetica con un conseguente risparmio di costi di gestione. Tutto questo però è vero se l'impianto radiante è completato da un generatore ad alta efficienza (pompa di colore, o caldaia a condensazione, o stufa a pellet, combinati magari a pannelli solari termici) e se la casa stessa richiede meno energia in riscaldamento, cioè non è un colabrodo. Se stai pensando di investire proprio in un nuovo impianto di riscaldamento per risparmiare energia e soldi in bolletta ti consiglio di valutare lo stato complessivo della tua casa. L'efficienza si ottiene non solo con impianti performanti, ma soprattutto dall'integrazione con l'edificio che deve richiedere meno energia per essere riscaldato, altrimenti non ha senso scegliere un impianto che funziona a bassa temperatura fornendo meno calorie. (Link al post precedente)

Con il riscaldamento a soffitto il calore rimane in alto?


La risposta è certamente NO. Gli impianti con i termosifoni scaldano gli ambienti attraverso il moto dell'aria, che riscaldata diviene più leggera, tende a salire, a volte anche a stratificare, mentre quella più fredda scende verso il basso in un circolo continuo detto convezione. I sistemi di riscaldamento radiante invece scaldano per irraggiamento, con passaggio di radiazione calorifica da un corpo caldo ad uno più freddo. Questo significa che dalla superficie in cui è integrato il riscaldamento (pavimento, parete o soffitto) il calore si irradia a tutto quello che si trova nelle stanze (oggetti e persone). Non viene primariamente scaldata l'aria, non ci sono grosse differenze di temperatura tra le varie zone di una stessa stanza, tutto è più omogeneo, confortevole e l'irraggiamento si avverte fino a 4-5 metri, quindi anche con i soffitti alti i benefici sono notevoli. Per questo non ci sono significative correnti d'aria, né stratificazioni. Anzi ad essere sinceri il soffitto è forse la superficie che permette di scaldare gli ambienti nel modo migliore dato che è sempre sicuramente libero da tappeti o arredi, inoltre in molti casi posso avere maggiore facilità di messa in opera perché non ci sono interferenze con altri impianti. Aggiungo anche che può essere il modo migliore per scaldare le camere perché è lì che ci troviamo sdraiati e quindi ortogonali all'irraggiamento con il massimo beneficio.

Il riscaldamento a parete non permette liberà di arredo e stringe le stanze?

Scegliere il riscaldamento radiante a parete significa non avere termosifoni in giro, quelli sì che ingombrano e limitano la libertà di arredo!

Però se sei ancora poco convinto ti dico che:
  • l'impianto può essere distribuito in tutte le pareti per cui non limita la libertà di arredo. A meno che non si voglia fare solamente armadiature a tutta altezza, ogni altro mobile o elemento di arredo non impedirà al calore di essere irraggiato all'ambiente.
  • i mobili o i quadri non vengono danneggiati dal riscaldamento perché la temperatura delle pareti è sempre molto bassa (prossima alla nostra temperatura corporea) per cui direi poco influente per gli arredi, in alcuni casi può addirittura essere un vantaggio. Hai mai visto delle macchioline dentro i quadri? Quelle dipendono dal fatto che il quadro appeso su una parete fredda, a causa della condensa che si forma su di essa con il riscaldamento a termosifoni, sviluppa la muffa e si rovina. Questo non accade su una parete con riscaldamento radiante.
  • per quello che riguarda mensole e arredi sospesi continuo dicendoti per esperienza (vivo con riscaldamento a parete in ogni stanza e a soffitto sul soppalco) che è possibile sapere dove si trova l'impianto sia perché si può richiedere il disegno “del come costruito” o le foto, sia perché esistono delle pellicole termosensibili o le termocamere che ti permettono di identificare le tubazioni sotto l'intonaco.
  • in caso di ristrutturazione è vero riduce la dimensione delle stanze, ma dipende sempre da quanto isolamento devo aggiungere. Esistono sistemi radianti costituiti da pannelli con integrate sia le tubature che l'isolamento, con spessore totale di 4 cm. Se ci pensi è quasi lo spessore richiesto per un intonaco! Quindi in caso di ristrutturazione togliendo il vecchio intonaco e posando i pannelli che poi vengono rifiniti e tinteggiati si ottengono stanze praticamente della stessa dimensione di partenza.

 


Il riscaldamento radiante è idoneo per chi soffre di asma e allergie specifiche?

Decisamente Sì. Laddove ci sono i termosifoni sono ben visibili i baffi neri che si creano dopo qualche tempo sulle pareti vicino ai caloriferi, questi sono la testimonianza non solo che si verificano i moti convettivi, ma anche che grazie a questi la polvere è in movimento e con essa gli allergeni. Il riscaldamento radiante irraggia il calore e non scalda l'aria quindi non innesca moti convettivi, questo significa anche che c'è meno movimento di polvere ed allergeni e quindi migliore qualità dell'aria interna alla casa. Ma c'è di più: l'aria cambia le sue proprietà a seconda della temperatura. Infatti la percentuale di vapore acqueo in essa contenuto corrisponde al tasso di umidità relativa e dipende proprio dalla temperatura. Questo significa che più scaldo l'aria più questa diviene secca generando discomfort (ad esempio con i termosifoni su cui spesso si mettono gli umidificatori), mentre se l'aria si mantiene “fresca” (come con il riscaldamento radiante) essa risulta più ossigenata e con un livello di umidità ottimale anche per chi soffre di allergie, asma e sensibilità particolari delle vie respiratorie.
Queste sono le caratteristiche del riscaldamento radiante che lo rendono preferibile all'impianto tradizionale a termosifoni per quello che riguarda la qualità dell'aria e quindi dal punto di vista del comfort interno e della salubrità.

Si può usare il riscaldamento radiante per raffrescare?

Sì, i sistemi radianti sono indicati anche per raffrescare. In pratica l'impianto che in inverno scalda la tua casa, può raffrescarla in estate facendo scorrere acqua fredda ( circa 15°C) nelle stesse tubature. In questo modo si sottrae calore agli ambienti producendo una sensazione simile a quella percepita nelle cantine. Senza bisogno di condizionatori con getti di aria fredda che possono anche causare dolori e raffreddori. Attenzione però a controllare in modo preciso la temperatura delle superfici e l'umidità relativa dell'aria per non favorire la formazione della condensa dell'aria calda e umida estiva sulle superfici fresche. Ti consiglio fortemente però di prevedere anche un sistema di ventilazione meccanica controllata che permetta il controllo del livello di umidità ambiente.
In caso si voglia raffrescare con l'impianto radiante l'ottimo è utilizzare una pompa di calore come generatore.

A questo punto allora parlo anche del tipo di generatore:

Che caldaia serve per un impianto radiante?


In linea generale la caldaia giusta è qualsiasi generatore di calore che abbia l'acqua come fluido vettore. Di fatto l'ideale per gli impianti di riscaldamento radianti è forse la pompa di calore. Ho già detto che i sistemi radianti funzionano a bassa temperatura e le pompe di calore danno il massimo della loro efficienza proprio in questi casi. Più frequentemente però i sistemi di riscaldamento radiante vengono associati a caldaie a condensazione perché anch'esse hanno ottime prestazioni alle basse temperature. Buoni risultati anche con caldaie a pellet. Tutti questi sistemi di generazione possono inoltre essere abbinati ai pannelli solari termici.
Ovviamente tutto questo presuppone che la casa sia correttamente coibentata altrimenti la dispersione è notevole e diventa inutile avere anche il migliore impianto del mondo che funzionando a bassa temperatura fornisce meno calorie. (Link al post precedente)

Tra tutte ho scelto le domande più frequenti che mi vengono poste da clienti e amici, ma la lista potrebbe essere ancora più lunga, se hai un quesito che non ho affrontato scrivilo nei commenti. Se il mio post ti è stato utile condividilo!



Rodolfo Collodi architetto


giovedì 1 settembre 2016

RISCALDAMENTO A PAVIMENTO O TERMOSIFONI: LA SCELTA MIGLIORE PER LA RISTRUTTURAZIONE

Recentemente è capitato di sentire frasi del tipo “sto per affrontare la ristrutturazione dell'appartamento di famiglia in centro storico e voglio mettere il riscaldamento a pavimento perché l'idraulico me lo consiglia e un'amica lo ha fatto di recente e sta benone”. Non mi pronuncio sul fatto che ogni volta i clienti cercano di fare ciò che gli amici e parenti hanno già sperimentato, o che gli consiglia l'artigiano di turno, invece che seguire i consigli del proprio tecnico, come se ogni caso fosse uguale all'altro e se per l'amica va bene allora deve per forza andare bene anche per te.

La realtà è che ogni situazione è diversa dall'altra e anche le esigenze, per questo il tecnico giusto consiglia in modo attento i propri clienti a fronte dell'analisi dello stato di fatto e di ciò che si vuole ottenere.

Questa premessa l'ho usata per introdurre l'argomento di questo articolo e cioè: il riscaldamento radiante è poi così “giusto”?




Quando si intraprende una ristrutturazione spesso il primo pensiero va al rinnovo dell'impianto di riscaldamento e alla caldaia a condensazione, che in questo momento è anche uno degli interventi di riqualificazione energetica incentivati. In teoria e in linea generale è effettivamente un miglioramento rispetto ai tradizionali caloriferi, perché può permettere di risparmiare energia e quindi avere minori costi di gestione in bolletta, ma anche di raggiungere un maggiore comfort nell'abitazione. Ma nella realtà è proprio così? E soprattutto in caso di ristrutturazione?

Che differenza c'è tra riscaldamento con impianto a termosifoni e impianto radiante a pavimento?
Si tratta di due tipologie simili e al contempo diverse. Simili perché in entrambi si utilizza l'acqua come fluido vettore del calore, ma per il resto molto diversi perché hanno temperature di esercizio molto differenti e modalità di funzionamento distinte.

Il sistema con i termosifoni si basa sul principio della trasmissione del calore per convezione. Il calore viene concentrato tutto nei termosifoni che sono costituiti da elementi appositamente conformati per favorire lo scorrimento dell'aria al loro interno. In questo caso per ottenere la temperatura ambiente desiderata c'è bisogno che l'acqua all'interno dei termosifoni sia scaldata almeno a 70°C, in modo che poi questi cedano il calore all'aria e questa a sua volta, messa in movimento, lo distribuisca agli ambienti. Il segnale del fatto che il movimento dell'aria avviene, e con essa anche quello della polvere, sono i “baffi neri” che si formano sulle pareti intorno ai termosifoni.



I sistemi di riscaldamento radiante si basano invece sul principio di trasmissione del calore per irraggiamento. Nessun moto d'aria, bensì superfici di distribuzione del calore ampie e temperature di funzionamento basse. Gli impianti radianti possono essere integrati nel pavimento, nelle pareti o nei soffitti, riscaldano le superfici e da qui irraggiano il calore nell'ambiente; è vero che in parte riscaldano anche l'aria che si trova nelle stanze, ma la temperatura è talmente bassa che i moti convettivi sono veramente trascurabili. L'irraggiamento si percepisce chiaramente anche a 4-5 metri di distanza. Viene subito alla mente l'esempio del sole in alta montagna in una giornata tersa che ci permette di stare in maglietta anche con temperature di 0°C. Quando si realizza un impianto di riscaldamento radiante in casa si ottiene proprio lo stesso effetto, cioè benessere senza scaldare eccessivamente l'aria. Ad esempio è possibile portare gli ambienti solo a 17-18°C per ottenere il comfort pari a 22°-23°C.

Detto questo però rimane ancora la domanda: ma in caso di ristrutturazione il riscaldamento a pavimento, parete o soffitto può essere una buona scelta?

Mi sembra il momento di dirti che personalmente vivo in un ex edificio industriale ristrutturato e dotato di impianto radiante a parete e soffitto, per cui parlo per esperienza e non per sentito dire.

Dato che il riscaldamento radiante è caratterizzato da temperature di esercizio basse, affinché funzioni correttamente, sia realmente conveniente dal punto di vista dei consumi e non generi discomfort è necessario che sia l'edificio stesso a richiedere meno energia per il riscaldamento. Altrimenti l'impianto non permetterà di scaldare tutte le stanze correttamente e saremo costretti in generale ad aumentare la temperatura per ottenere il comfort ambiente desiderato, con conseguente perdita dei vantaggi di risparmio energetico e qualità dell'aria interna che questo tipo di sistema assicura.

C'è poi da tenere presente che la normativa (UNI EN 1264) prevede dei valori limite di temperatura delle superfici per gli impianti radianti: 29°C per pavimento e soffitto, fino a 40°C per le pareti.

Nelle case vecchie di oltre 15 anni non si poneva molta attenzione alle prestazioni generali dell'involucro a livello termico per cui è molto probabile che la tua casa o appartamento non sia isolato. Adesso forse è più chiaro che scegliere un impianto di riscaldamento radiante (che lavora a minore temperatura rispetto al tradizionale a termosifoni) deve andare a braccetto con il generale risanamento dell'involucro, altrimenti sarà come mettere tanta acqua in un contenitore forellato e continuare ad aggiungerne per farlo rimanere pieno.

Diciamo che la risposta secca alla domanda di partenza è che non ha senso installare un impianto di riscaldamento radiante senza prevedere un efficientamento dell'involucro (almeno pareti esterne e tetto, meglio ancora se ci aggiungi le finestre).

E qui l'obiezione potrebbe essere: ma allora la ristrutturazione diventa più impegnativa e mi costa troppo. Già! Diciamo che sulla spesa complessiva ci si può lavorare facendo scelte miratissime per ottenere il migliore risultato di comfort e risparmio energetico commisurato con la spesa totale, ma alla fine ci sono cose che non si possono non fare.



Facciamo anche un'altra ipotesi
Vuoi ristrutturare solo una parte della casa e stai pensando che sarebbe bello, visto che fai i lavori, rinnovare anche l'impianto di riscaldamento e mettere un radiante. Oppure vuoi fare un ampliamento e nella nuova parte vuoi mettere un riscaldamento radiante che però non sia autonomo rispetto a quello esistente. Queste due cose si possono fare?

Fermo restando quanto già detto prima, la risposta è Sì. E' possibile “mixare” due impianti di tipologia diversa, e ne può valere la pena perché comunque è un buon miglioramento in termini generali di riduzione consumi, ma si devono avere delle cautele. Abbiamo detto che l'impianto con i termosifoni funziona con acqua calda almeno a 70°C, mentre il radiante mediamente ha una temperatura di 40°C, quindi per riuscire a gestire questa differenza è necessario mettere un miscelatore.

Voglio aggiungere però che, mentre nel caso precedente può valere la pena integrare gli impianti, non ha assolutamente senso chiedere di inserire un termoarredo/scalda salviette (che funziona con acqua a 70°C) in un bagno, laddove l'impianto di riscaldamento sia tutto radiante, magari dotato di caldaia a condensazione, perché per un solo elemento, la cui funzione peraltro può essere ottenuta in altro modo, si perde in rendimento totale dell'impianto che non da il meglio di sé in termini di efficienza e risparmio sui costi di gestione dovendo scaldare l'acqua per il termoarredo del bagno e poi “raffreddarla” per il resto dell'impianto.

Tutto quello che ho detto ha preso in considerazione solo l'aspetto dell'efficienza energetica, ma il riscaldamento radiante a pavimento, parete o soffitto ha anche altre caratteristiche che lo rendono preferibile all'impianto tradizionale a termosifoni per quello che riguarda la qualità dell'aria e quindi dal punto di vista del comfort interno e della salubrità, anche per chi soffre di asma e allergie.


Rodolfo Collodi architetto


giovedì 14 luglio 2016

COSTRUIRE IN PAGLIA

Perchè costruire una casa di paglia, quanto dura una casa così realizzata e che caratteristiche ha, questi gli argomenti che cerco di trattare in questo post legato alla pubblicazione di una importante appendice normativa nello stato del Nebraska di cui presto pubblicherò i dettagli.

    
Casetta di paglia in costruzione ... sotto il sole

Costruire in paglia è una buona alternativa ai metodi tradizionali.
Dire questo in un paese tra i primi produttori al mondo di cemento può apparire una sfida.
In linea generale si pensa che una casa di paglia debba assomigliare a quella dei tre porcellini, cioè poco stabile, in realtà le possibilità di gestione dei cantieri, anche in caso di autocostruzione, permettono di organizzare i materiali e comporre un edifico solido in breve tempo. Ho usato la parola comporre perchè trattandosi di una tecnica di costruzione, prevalentemente a secco, si basa proprio sull'assemblaggio di parti.

Un edificio in balle di paglia è una costruzione architettonica a tutti gli effetti: solida, efficiente, affidabile, confortevole.

La prima tecnica conosciuta risale alla seconda metà dell'800 ed è detta Nebraska, perchè proprio i pionieri americani che si trovavano in quella zona degli Stati Uniti, povera di pietre e legname, iniziarono ad utilizzare le balle di paglia pressata per costruire le loro case. In realtà la tecnica è stata poi modernizzata negli anni '60. In Europa invece il più antico edificio conosciuto, ed ancora in piedi, risale al 1921 e si trova in Francia, ma di fatto solo dagli anni '90 si è riscoperta la tecnica di costruzione in balle di paglia nel nostro continente grazie a Barbara Jones.

Ancora oggi la costruzione si basa sull'uso delle balle di paglia pressata come dei grossi mattoni con i quali comporre le pareti che possono anche essere portanti.

    1921 Maison Feuillet - Francia - Centre National de la Construction Paille Emile Feuillet


Se stai valutando di costruire la tua casa in paglia, e vuoi capire come farlo allora continua a leggere.
In estrema sintesi si possono avere due tipi di tecniche costruttive: load-bearing cioè portante, dove la paglia svolge anche funzione strutturale; not load-bearing e cioè non portante, dove la paglia è utilizzata come tamponamento di edifici a struttura generalmente di legno.
Nell'ambito delle possibilità costruttive in balle di paglia non portanti esistono vari sistemi che prevedono listellature in legno, a passo più o meno ravvicinato, che possono consentire la posa delle balle sia di piatto, che di taglio e in alcuni casi anche in verticale.
In molti paesi strutture in balle di paglia sono ufficialmente permesse, mentre in Italia si possono costruire case in paglia solamente del tipo non portante, perchè le balle ottenute dalla pressatura e impacchettatura dello scarto di coltivazione dei cereali non è ancora da noi riconosciuto come materiale strutturale. In ogni caso la paglia rimane un'ottima alternativa ai materiali da costruzione tradizionali.


Perchè costruire in paglia?

Queste le caratteristiche intrinseche:

E' leggera e facile da posare – le dimensioni di una balla prismatica sono 35x35x100 cm circa, con variazioni fino a 50x50x120 cm.

E' economica – una balla di paglia costa mediamente da 1 a 3 euro e consente di applicare diffusamente la modalità dell'autocostruione, permettendo di risparmiare moltissimo anche in mano d'opera.

E' ecologica – essendo un prodotto di scarto, usare la paglia significa dare una seconda vita ad un materiale che peraltro è ampiamente diffuso, quindi facile da reperire anche nelle vicinanze del cantiere e che non ha bisogno di lavorazioni aggiuntive.

E' traspirante – questo permette una maggiore salubrità degli ambienti interni.

E' flessibile – caratteristica che rende la paglia idonea anche per costruzioni antisismiche. Le masse di una casa in balle di paglia sono molto inferiori a quelle di un edificio in mattoni o cemento armato, quindi la sollecitazione che incide sulla struttura nel suo complesso è notevolmente inferiore.

E' inattaccabile dai roditori – i topi non si cibano di paglia, tanto meno quando è pressata in balle con densita di almeno 80Kg/mc. Al limite i topi potrebbero essere interessati a fare il nido in un muro di paglia, ma devono prima penetrare l'intonaco che generalmente è in spessore da 3 a 5 cm e ad oggi non è ancora avvenuto.

E' termoisolante – la trasmittanza termica della paglia è 0,06-0,045 W/mqK (variabile a seconda di come vengono disposte le sue fibre), questo rende più facile raggiungere le alte prestazioni richieste dalle ultime normative per il risparmio energetico, ed è perfettamente in linea con i più comuni isolanti naturali usati in edilizia.

E' ad elevato potere fonoassorbente - caratteristica che rende l'uso della paglia ancora più indicato per il comfort interno

E' a basso rischio d'incendio – le prove sperimentali sui materiali per ingegneria civile hanno dimostrato che la estrema densità delle balle di paglia determina la loro resistenza al fuoco. Il fuoco si propaga in presenza di ossigeno, all'interno delle balle questo è presente in scarsa quantità e non è sufficiente per alimentare un incendio. Sembra assurdo ma le costruzioni di paglia possono resistere come, se non più di ogni altra costruzione.

E' capace di immagazzinare la CO2 – considerando l'anidride carbonica emessa in fase di produzione e quella assorbita durante la crescita del cereale si ottiene un valore negativo, cioè la paglia sequestra 1,35 kg di CO2 per ogni Kg di prodotto.

Una volta capito che ci sono molti buoni motivi per costruire una casa in paglia, sicuramente ti stai chiedendo, ma quanto dura?

    2006 Esserhof - Italia - Arch. Schwartz & Shmidt

Durata di una casa di paglia

Dato che l'edificio del 1921 costruito in Francia è ancora abitato direi che le costruzioni in paglia possono dare buone garanzie di durata, ovviamente se si rispettano le regole corrette del costruire. Non pensare che siano necessarie grandi opere, già il solo garantire il confinamento delle balle di paglia con un buon strato di intonaco che le protegga dalle intemperie, il prevedere lo stacco da terra di almeno 20/30 cm per non avere il contatto diretto con il terreno e non incorrere così nell'umidità di risalita, il prevedere delle buone sporgenze di gronda per il tetto sono tre azioni sufficienti per garantirsi una buona durabilità.

Ovviamente non si deve trascurare la manutenzione altrimenti le infiltrazioni di acqua e l'umidità possono compromettere gravemente la salute della casa. Già perchè l'acqua è ciò da cui si deve proteggere la paglia, sia quella di infiltrazione che quella dovuta alle condense che si possono sviluppare all'interno delle pareti. Finchè rimane asciutta essa non marcirà e non ci sarà pericolo di sviluppo di muffe, per questo è molto importante preferire intonaci di argilla o calce e non utilizzare intonaci di solo cemento, ma al massimo intonaci di terra e cemento o calce e cemento in modo da mantenere la traspirabilità delle pareti a livelli accettabili. Anche scegliere di intonacare a terra l'interno della casa e usare il cemento all'esterno, per una maggiore resistenza agli agenti atmosferici, può in realtà portare danni peggiori, perchè la diffusione del vapore sarà impedita dall'intonaco esterno favorendo lo sviluppo di condense all'interno del muro.

Cosa fare però nei locali dove si sviluppa più vapore acqueo, tipo bagni, lavanderie o cucine? Qui è possibile e opportuno aumentare la resistenza alla diffusione del vapore dell'intonaco interno aggiungendo olio di lino o membrane a freno vapore sempre posizionate verso l'interno.

Si deve tenere sempre in considerazione che la permeabilità al vapore deve aumentare man mano che si va dall'interno all'esterno della parete, avendo cura di stratificare materiali che permettano la trasmigrazione del vapore verso l'esterno. Ad esempio non si può limitare la verifica del valore [mu] che definisce la permeabilità di un materiale, ma deve essere rapportata anche al suo spessore attraverso un parametro che si chiama Sd e si esprime in metri.

Sempre a titolo di esempio ho preparato questa tabellina che spero ti aiuti a capire meglio:

intonaco terra/argilla (spessore 3 cm) Sd = 0,24 m
intonaco cemento (spessore 2,5cm) Sd = 0,75 m
intonaco calce (spessore 2,5cm) Sd = 0,25 m
paglia (spessore 30 cm) Sd = 0,75 m

Costo di una casa in paglia

Per quello che riguarda il costo devo premettere che ogni caso va valutato attentamente perchè molti sono i fattori che entrano in gioco, come del resto negli altri tipi di costruzione. Ad ogni modo, generalizzando, si può dire che il costo di una casa singola di forma semplice, con struttura in legno e tamponamento in paglia, si aggira intorno ai 1000 euro al mq finita.

   2016 Casa en Casablanca - Cile - Broughton Asociados

Conclusioni:

Le case in balle di paglia sono edifici a tutti gli effetti e, per la realizzazione, sono soggette ai permessi autorizzativi ottenibili con la presentazione di un progetto completo firmato da un professionista abilitato, meglio se consapevole e pratico del costruire ecologico.
Per onestà è bene dire che progettare una casa in balle di paglia non è identico al progettare un edificio da costruire con materiali più tradizionali, quindi non si seguono gli stessi principi dell'edilizia convenzionale, un primo punto da tenere in considerazione per esempio è la dimensione e l'altezza dell'edificio che è condizionata dalla modalità con cui si sceglie di posare le balle.

In assenza di una normativa nazionale che indichi le caratteristiche per le balle di paglia da utilizzare in edilizia è possibile fare riferimento alla pratica e alla sperimentazione, ma soprattutto ai codici specifici della California e dell'Arizona, e all'ultima Appendice S pubblicata nello stato del Nebraska che fornisce i requisiti normativi per l'uso delle balle di paglia nelle costruzioni.
Si tratta di indicazioni prestazionali riguardo alla paglia e a tutti gli altri componenti necessari ad ottenere un edificio finito. Questa appendice d'oltre oceano è molto importante perchè norma per la prima volta in modo ufficiale le costruzioni in balle di paglia e affronta il tema dal punto di vista scientifico indicando spessori minimi per paglia e intonaco, dimensioni minime di perni, staffe, rinforzi, collegamenti e quant'altro necessario per la tenuta statica e sismica, fornisce anche le caratteristiche delle finiture ammesse e le composizioni per i vari tipi di intonaco idonei alle costruzioni in paglia, sia che si tratti di strutture autoportanti o solo di tamponamento.



Rodolfo Collodi Architetto

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giovedì 30 giugno 2016

IL PESO AMBIENTALE DI 'THE FLOATING PIERS' DI CHRISTO

Molti sono gli articoli in rete su The floating piers, installazione temporanea dell'artista Christo in questi giorni visitabile. Tutti hanno posto l'accento su come vivere nel modo migliore l'esperienza e nessuno si è chiesto cosa accade all'opera una volta dismessa? Qual'è stato l'impatto dell'installazione a livello globale? Io cerco di dare una possibile risposta a queste domande.



Essere parte di un'opera d'arte per un giorno? Non si può resistere! The floating piers è la ventritreesima installazione su larga scala che l'artista Christo Vladimirov Yavachev aveva ideato con la moglie Jeanne-Claude già nel 1970, ma solo adesso è riuscito a realizzare in Italia, dopo vari permessi rifiutati prima in Argentina e poi in Giappone.

Se ti stai chiedendo perchè ti parlo della passerella galleggiante e cosa ti posso dire di nuovo continua a leggere perchè ho fatto delle valutazioni sull'impatto ambientale dei materiali usati.

E' stato un lungo viaggio in una giornata di caldo umido spossante, ma una volta arrivati sul Lago d'Iseo tutto è andato per il meglio. Sarà che siamo arrivati all'ora della siesta, sarà che abbiamo scelto accuratamente un giorno settimanale, ma al contrario di quanto si legge in giro non siamo incappati in code e lunghe attese. Il sole al tramonto poi ha arricchito tutto della sua luce più intensa rendendo ancora più dorato il tessuto che ricopre la passerella.

Per quanto suggestivo possa apparire il panorama, vedere l'opera da fuori e dall'alto non rende quanto passeggiarci sopra. Lo stesso Christo ha dichiarato che la sua intenzione è quella di far vivere l'esperienza di camminare sull'acqua, o al limite la sensazione di camminare sul dorso di una balena. Direi che è più calzante questa seconda opzione.




La passerella è larga 16 metri ed è composta da cubi di plastica galleggianti le cui file esterne sono semiaffondate per raccordarle con il pelo dell'acqua. Purtroppo però non si può camminare a meno di 2/3 metri dal bordo, rimanendo quindi verso il centro l'esperienza è più quella di camminare su un grosso cetaceo che si inarca e affonda lievemente nell'acqua, in un movimento continuo che ti accompagna per tutto il tragitto. Penso che molti abbiano avuto il mal di mare e altri abbiano fatto l'esperienza del mal di terra. Cioè abbiano vissuto la sensazione del movimento e dell'instabilità del suolo anche una volta arrivati sulla terra ferma, sensazione tipica di quando si arriva in un porto dopo aver passato alcuni giorni in barca.

Ma veniamo al motivo per cui ho voluto scrivere di The floating piers. Se hai già letto qualche mio post, sai che il mio interesse è verso la sostenibilità e compatibilità con l'uomo e l'ambiente dell'architettura e dei prodotti che vengono utilizzati. Per questo, a parte la bella esperienza, sono stata molto interessata agli aspetti tecnici della realizzazione della passerella.

Una volta capito chi, cosa, come e quanto, è venuta spontanea una domanda: perchè tutto questo materiale non viene riusato, ma sarà rimosso e riciclato industrialmente? Il motivo è chiaro: niente deve rimanere eccetto i ricordi, le foto e i filmati, così si è certi che nessuno speculerà su un'opera d'arte rivendendosi le parti.



Una volta ritornata alla base però ho continuato la mia riflessione.

Nella gerarchia dei rifiuti della Comunità Europea la prima opzione è la riduzione degli scarti alla fonte; poi segue il riuso, cioè il riutilizzo tal quale e ripetuto dei prodotti e dei materiali; la terza opzione è il riciclo, cioè la trasformazione di prodotti che hanno terminato un primo ciclo di vita per produrne altri nuovamente utili; una quarta opportunità, da applicare se proprio non si è riusciti a ridurre riusare o riciclare, è il recupero di energia dai vecchi prodotti; infine la discarica, opzione però che non si dovrebbe nemmeno arrivare a considerare.

E' vero che una parte dei materiali durante i 16 giorni di installazione subiranno danni da usura come il telo e il feltro sottostante che scoloriranno, si macchieranno, si strapperanno e quindi è necessario per questi prevedere un riciclo. Altro ragionamento si potrebbe fare per gli elementi modulari galleggianti, in polietilene ad alta densità, e le relative corde di ancoraggio, che invece non subiranno alcun deterioramento (escludendo atti vandalici) per cui potrebbero essere riusati, opzione più virtuosa e meno impattante rispetto al riciclo.


Img credits:Wolfgang Volz

Ma come? Pensando a possibili riusi mi sono venuti in mente tutti quei circoli velici o di canottieri che sull'acqua svolgono le loro attività ed hanno sempre bisogno di punti di appoggio. Prevedendo un riuso dei cubi sarebbe possibile distribuire le migliaia di moduli galleggianti a molti circoli esistenti su tutto il territorio nazionale. Certo si tratta di luoghi dove l'accesso è limitato ai soci.
In alternativa, per un beneficio a favore di più persone, si potrebbe pensare alle zone umide e le oasi naturalistiche dove percorsi sull'acqua sono ammessi, ma i rigidi regolamenti giustamente non consentono la realizzazione di opere permanenti. Si sa che gli enti pubblici non se la passano molto bene quindi non investono in opere temporanee e allora in questi casi anche piccole porzioni del pontile galleggiante riusato tal quale, senza una spesa eccessiva, permetterebbe una facilità di fruizione da parte di chiunque. Se è vero che la conoscenza aiuta a stringere legami con i luoghi che saranno per questo più curati, allora non potrà che essere un vantaggio avere percorsi galleggianti che possano anche essere rimossi stagionalmente a seconda delle esigenze.

Dato che niente di tutto questo sarà fatto, ho cercato di capire che impatto The floating piers ha avuto per i soli 16 giorni di uso, andando a verificare un paramentro come la CO2 equivalente emessa in fase di produzione.


Img credits: Wolfgang Volz


I dati forniti dall'organizzazione e dai produttori sono sufficienti per calcolare in modo abbastanza preciso le quantità e la tipologia di materiali utilizzati e quindi la corrispondente quota di CO2 emessa:
ad esempio i 220000 cubi galleggianti in PEHD compresi i relativi pioli di connessione hanno prodotto 3326,4 Tonnellate di CO2 equivalente, il feltro (70000 mq) e il tessuto (100000 mq) con cui è rivestita la passerella hanno prodotto 1949 TCO2e, gli ancoraggi in calcestruzzo immersi a 90 metri di profondità hanno prodotto 4,1 TCO2e, infine le corde di ancoraggio in UHMWPE hanno prodotto 338,2 TCO2e, per un totale complessivo di 5617,7 Tonnellate di CO2 equivalente. Tutto questo calcolo non tiene in considerazione il trasporto e il montaggio dell'opera che non mi è possibile quantificare, ma che sicuramente hanno contribuito in modo sostanziale ad innalzare la quantità di anidride carbonica complessivamente emessa dato che le operazioni sono state svolte non solo con mezzi su gomma, ma anche con elicotteri e imbarcazioni. E dire che si potrebbe anche andare oltre ipotizzando le emissioni dovute all'affluenza di visitatori che hanno raggiunto il lago in auto, piuttosto che in treno o con altri mezzi.


Img credits: Wolfgang Volz

Non è facile rendersi conto a cosa corrisponda questa quantità, ma tutto è più facile se si pensa che per assorbire quella produzione di CO2 occorrono circa 3745 alberi di grande dimensione per 50 anni di vita, cioè un bel bosco attivo di quasi mezzo kilometro quadrato.

Avresti mai pensato che un'opera temporanea potesse avere così tanto peso ambientale?


Giulia Bertolucci Architetto







mercoledì 8 giugno 2016

AMA LA NATURA – NON TI TRADIRA'



Oggi 8 giugno sarebbe il 149° compleanno di Frank Lloyd Wright.
Nessuno ha mai vissuto così a lungo, ma la grandezza di una persona e le sue opere sopravvivono per molto tempo grazie anche alla cura ad esse dedicata da parte delle generazioni future.
Frank Lloyd Wright, grande personaggio il cui messaggio innovativo ha rivoluzionato l'architettura del ventesimo secolo, è tutt'ora la figura di riferimento per coloro che seguono i principi dell'architettura organica.


Equilibrio tra ambiente naturale e costruito è il fine essenziale della sua architettura creata in un'epoca di forti cambiamenti tecnologici e di espansione industriale caratterizzata dalla vertiginosa crescita delle città, del traffico veicolare e delle industrie, dall'invenzione di nuovi macchinari e delle automobili, dalla produzione di manufatti per l'edilizia sempre più grandi in acciaio e calcestruzzo. Proprio in opposizione alla velocità con cui tutto avveniva egli creò ambienti di vita più umani e confortevoli mettendo in atto la sua architettura organica che, partendo dal luogo, dal tempo, dai materiali, e attraverso un profondo studio della natura e dell'ambiente, si concretizzava con edifici unici.

“risultato dell'arte del costruire dovrebbe essere una poetica serenità, anziché una 'efficienza' mortale, in sempre maggior copia”

Un tipo di architettura influenzata da un suo viaggio in Giappone nel 1905 durante il quale ebbe modo di osservare e vivere la casa giapponese che gli apparve come  “un tempio di suprema pulizia ed essenzialità”  in cui gli ambienti concatenati tra loro, separati solo da leggeri diaframmi, erano caratterizzati da una stretta relazione con la natura.




Gli elementi più importanti del suo progetto organico possono essere sintetizzati da una parola chiave: sincerità. Sincerità dei materiali, dell'organizzazione funzionale, della rispondenza tra articolazione spaziale interna ed esterna.

Gli obiettivi generali sono:
  • ridurre le partizioni al minimo e rendere l'abitazione più libera (maggiore semplicità di lettura da parte delle persone e maggiore economicità di realizzazione)
  • creare armonia tra l'edificio ed il suo intorno, sia per forme e volumi che per colori
  • abolire ogni decorazione posticcia che avrebbe aumentato i costi solo per ragioni estetiche e prediligere forme basiche
  • evitare le combinazioni di troppi materiali tra loro diversi e non integrati- 

    “usare erroneamente qualsiasi materia è tradire l'integrità di tutta la composizione”


Tra le sue opere la residenza dei signori Bachman-Wilson ha avuto una storia particolare. Fu progettata e realizzata tra il 1954 e il 1956 sulle rive del fiume Millstone in New Jersey (USA) per una coppia di giovani con medie disponibilità economiche. Affascinati dalle opere di Wright che avevano visitato, gli chiesero di progettare la loro casa a patto che costasse non più di 20000 dollari e che permettesse loro di realizzare parte delle lavorazioni. Un nuovo tipo di richiesta che era in aumento a causa del periodo di crisi economica che faceva ancora sentire i suoi strascichi. Direi molto simile al tipo di richiesta che ancora oggi viene manifestata da molti.
Per andare incontro a questa nuova committenza, non proprio danarosa, Wright semplificò i suoi progetti senza negare i principi dell'architettura organica da lui creata, dando vita a una serie di realizzazioni definite Usonian Homes.

“L'edificio è un organismo soltanto se armonizza l'interno con l'esterno e ambedue col proprio carattere e fine, e col processo costruttivo, e col luogo, e col tempo”




La residenza Bachman-Wilson è basata su una pianta semplice aperta, modulata su una griglia quadrata, ed è caratterizzata da un lato completamente chiuso di protezione dalla strada e un lato, all'opposto, completamente vetrato. I materiali usati sono blocchi di cemento a vista, legno e vetro.

In essa Wright impiegò i primi fondamenti dell'architettura sostenibile: ridusse al minimo la dimensione della casa per ottimizzare i costi, cercò di massimizzare la captazione solare passiva soprattutto per sfruttare al massimo l'illuminazione naturale e ridurre la necessità di apporto elettrico, scelse un sistema di riscaldamento radiante a pavimento, inserì arredi che potevano essere realizzati dai committenti stessi e fu pioniere anche per la gestione e il recupero degli scarti di cantiere.

“Tutti i materiali atti ad essere usati in edilizia sono importanti, più che mai. Sono tutti significativi: ognuno secondo la propria particolare natura. Materiali vecchi e nuovi hanno il proprio contributo vivente da offrire alla forma, al carattere e alla qualità di qualsiasi edificio. Ogni materiale può divenire un felice fattore determinante”

 

Negli anni purtroppo è stata abbandonata e nel 1988 quando la coppia di architetti Tarantino l'acquistò dovette intraprendere un'opera di restauro complessivo. Dopo anni di studio di documenti e disegni originari, e di cura dei lavori di restauro, la residenza è tornata a mostrare la sua particolare armonia, equilibrio e bellezza. Ma nuove minacce si sono succedute. A causa dell'acuirsi dei fenomeni meteorologici la casa è stata inondata dal fiume più volte riportando danni. E' per questo che i proprietari hanno deciso di proporre la vendita dell'edificio a patto che venisse spostato in altro sito più sicuro che ne garantisse la manutenzione.




La conservazione della residenza Bachman-Wilson è stata possibile grazie all'acquisto e trasferimento, tramite smontaggio, catalogazione delle parti e ricomposizione dell'edificio (2013/2015), presso il Crystal Bridges Museum in Arkansas.
Lo spostamento può far pensare che siano andati perduti i presupposti tanto cari a Wright:

“Ogni edificio vero, come ogni tonalità musicale, ha il suo fulcro, i suoi flussi, e sta armonicamente nel suo luogo come un cigno nel suo specchio d’acqua”

in realtà la nuova collocazione garantisce lo stesso tipo di integrazione con la natura e ha il medesimo orientamento.






 Giulia Bertolucci

Citazioni tratte da “Testamento”, di Frank Lloyd Wright , Einaudi , Torino , 1963
Fonte Immagini:   www.architecture.org  ; www.crystalbridges.org  ;  www.bachmanwilsonhouse.com www.tarantinostudio.com




giovedì 26 maggio 2016

I RISCHI NASCOSTI DEI PAVIMENTI


In 3 elementi chiave per una casa sana si è detto che i prodotti edilizi possono essere responsabili dell'inquinamento dell'aria interna e in base alle riflessioni e ai fattori da tenere in considerazione riportati in quel post le pavimentazioni costituiscono potenzialmente un rischio elevato per l'impatto sulla qualità dell'aria interna perché si tratta sempre di grandi superfici esposte, a contatto diretto con l'utente, sono soggette a condizioni d'usura e all'aggressione dei prodotti di pulizia.
Inoltre i procedimenti di posa, finitura e manutenzione di un pavimento richiedono l'utilizzo di prodotti ausiliari (spesso necessari per velocizzare la posa stessa) che associati possono aumentare il livello di rischio in modo più importante di quanto prevedibile con i test sui materiali singoli.


img credit: Lea Ceramiche

Analizzando un pacchetto di pavimentazione classico si può dire che è costituito almeno da tre strati:
  • massetto di sottofondo con relativi livellanti,
  • strato di adesione
  • trattamenti di finitura
Lo strato di adesione può essere a base cementizia con o senza additivi, oppure a base di adesivi fenolici, ureici o poliuretanici. Tutti e tre ad alto contenuto di formaldeide o di isocianati che risultano dannosi per l'uomo causando dalla semplice irritazione agli occhi e alle vie respiratorie, all'asma, al cancro.
Il problema principale di questi prodotti è che possono emettere VOC per lunghi periodi dopo la posa, e trasmigrando possono peggiorare le condizioni di inquinamento degli ambienti confinati (trasmigrazione più probabile nel parquet piuttosto che nel gres porcellanato)


img. credit: Kerakoll

I trattamenti di finitura (soprattutto in caso di pavimento in legno) possono essere trattamenti a base di cere e resine naturali, ma più spesso sono prodotti vernicianti, di particolare tenacia e durata, di tipo poliuretanico mono e bicomponenti oppure a base di resine in soluzione acquosa o solvente (es. epossidiche), che possono causare ipersensibilità e allergia fino a danni maggiori. I prodotti che garantiscono maggiore stabilità e durata sono quasi sempre quelli in cui il legante è costituito da resine poliuretaniche ottenute per reazione tra molecole di polialcoli e di isocianati disciolti in opportuni solventi. Questi solventi impiegati in forte percentuale nella miscela, in parte vengono rilasciati in fase di essiccazione e in parte rimangono a lungo nella resina per essere emessi per molto tempo dopo l'essiccazione superficiale della vernice. Stesso dicasi per le vernici a base di resine epossidiche ottenute da miscele, sempre disciolte in solventi, di cui le più comuni sono a base di xilolo o toluolo.
Come alternativa si dovrebbe preferire un trattamento superficiale con Olio o Cera vegetali basati sulla cottura artigianale di oli di lino, di agrumi, di aleurite, emulsionati in acqua e sali borici, preferendo poi i composti che hanno come diluente il balsamo d'agrumi e non sostanze come benzine leggere per evitare le sostanze isoalifatiche.

A livello normativo esiste un valore limite di COV ammesso nei prodotti e una classificazione (tossico, molto tossico, mutageno, cancerogeno) per le sostanze ritenute pericolose per l'uomo e anche per l'ambiente, ma la legislazione Italiana (D.Lgs 33/2008) è riferita solamente alla “limitazione dei composti organici volatili conseguenti all'uso di solventi in talune pitture e vernici”.
Esiste poi una più recente decisione della Comunità Europea (2009/544/CE) che stabilisce i criteri ecologici per assegnazione di un marchio comunitario di qualità ecologica ai prodotti vernicianti per interni che riduce ulteriormente i limiti ammessi.

E' molto difficile orientarsi, sia per scarsità di informazioni che per mancanza di obbligo normativo, per il produttore, di testare i prodotti (ai fini delle emissioni di COV) e dichiararne la composizione. 
Diciamo che un modo per riuscire a districarsi potrebbe essere ricercare la marcatura “ecologica”.

C'è da dire però che:
  • non esiste un'etichettatura unificata e armonizzata a livello internazionale
  • le etichette, dalle più longeve (Blaue Engel 1977, Ecolabel 1992) alle più recenti (NaturePlus 2001), sono di tipo volontario.

img. credit: Lea Ceramiche

Conclusione
L'evoluzione del settore edilizio ha favorito l'introduzione negli edifici di sostanze tossiche con effetti rilevanti sulla salute delle persone. Effetti più o meno gravi in base al tipo di sostanza, alla suscettibilità personale e in base alla dose respirata. 

Purtroppo è estremamente raro trovare prodotti che non rilascino almeno tracce di VOC in qualsiasi forma. Esistono però alcuni accorgimenti applicabili per ridurre l'esposizione ai composti organici volatili, da cui possono derivare sintomi di malessere, e per migliorare la qualità dell'aria interna
(vedi le conclusioni di questo post)

Le pavimentazioni continue tanto ricercate di recente potrebbero contribuire alla soluzione del problema, dato che non prevedono lo strato di adesione, ma anche in questo caso su tutti i prodotti che si trovano in commercio sono da preferire le superfici in terra cruda o in calce (anche a bassissimo spessore) rifinite a cera. Diciamo che la finitura a cera è comunque consigliabile anche in caso di scelta di pavimentazioni in cemento. Basta ricordare che la resistenza all'usura di una superficie trattata a cera è certamente inferiore a quella di una pavimentazione rifinita con la resina. Il risultato però è decisamente molto bello.

Giulia Bertolucci architetto

IMG.CREDITS: Preme precisare che Lea Ceramiche e Kerakoll sono due ditte che producono materiale per l'edilizia ed hanno: la prima la marcatura Ecolabel per alcune linee di pavimenti, la seconda la certificazione di prodotti a basso contenuto di VOC con la marcatura EC1.



giovedì 19 maggio 2016

L'ATTESTATO DI PRESTAZIONE ENERGETICA IN 4 PUNTI

In rete si trovano molte guide e vademecum riguardanti l'Attestato di Prestazione Energetica, ma ci siamo resi conto che alcune persone non addentro alla materia hanno difficoltà a capire di cosa si tratta. Per questo, partendo dalla definizione data dalla normativa, tentiamo di sintetizzare in quattro punti gli elementi salienti della pagella energetica.

 
img. credit: Tino Stefanoni


Innanzi tutto è stata introdotta nel 2005 con il Decreto 192, negli anni ritoccato e aggiornato. Le ultime modifiche sono state apportate nel 2013 con l'introduzione dell'Attestato di Prestazione Energetica (APE) al posto dell'Attestato di Certificazione Energetica (ACE).

Il decreto legge definisce l'Attestato di Prestazione Energetica come:
documento, redatto nel rispetto delle norme contenute nel presente decreto e rilasciato da esperti qualificati e indipendenti , che attesta la prestazione energetica di un edificio attraverso l'utilizzo di specifici descrittori e fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell'efficienza energetica.”

1_Cosa significa che l'attestato deve essere rilasciato da esperti qualificati e indipendenti?

Il certificatore energetico che può rilasciare l'attestato è un tecnico abilitato che opera in proprio o come dipendendente di un ente o società pubblica o privata del settore dell'energia e dell'edilizia, oppure per società di servizi energetici (ESCO). Sinteticamente sono considerati abilitati senza necessità di altri corsi specialistici gli Architetti con laurea magistrale (esclusi i pianificatori) che siano iscritti all'albo professionale, gli Ingegneri civili, edili e industriali iscritti all'albo, i Periti tecnici (indirizzo meccanico, energetico, elettrico, costruzioni o agrario). Tutti gli altri devono superare corsi specifici strutturati secondo le indicazioni della norma e organizzati dal ministero dello sviluppo economico, dalle regioni, da soggetti privati autorizzati dalle regioni, ecc.
Con l'indicazione del requisito di indipendenza nella norma in pratica si intende che non ci debba essere conflitto di interessi, per cui la certificazione non può essere prodotta da un tecnico che ha avuto il coinvolgimento diretto nella progettazione o nella costruzione, e nemmeno un coniuge o parente del titolare dell'immobile fino al quarto grado.
Va qui aggiunto che è opportuno che il certificatore sia colui che ha anche maturato esperienze specifiche.

2_Cosa e quali sono gli specifici descrittori di prestazione energetica cui fa riferimento la definizione?

I descrittori diciamo che sono quei parametri sui quali si basa l'attestazione e che tengono conto di una serie di aspetti che influiscono sulla prestazione energetica complessiva dell'unità immobiliare.
In pratica vengono valutati i seguenti servizi presenti negli edifici:
climatizzazione invernale ed estiva (riscaldamento e raffrescamento), produzione di acqua calda, ventilazione, e per il non residenziale illuminazione artificiale e sistemi di trasporto di persone o cose (ascensori, scale mobili, montacarichi). La somma di questi valori costituisce l'indice di prestazione energetica globale in base al quale viene calcolata la classe energetica dell'edificio (da G pessima, ad A4 la più efficiente).

3_Cosa significa che il documento Attesta la Prestazione Energetica? Esso descrive fedelmente i consumi di un edificio?

L'APE indica e certifica la classe energetica dell'unità immobiliare, ma NON descrive fedelmente i consumi, perchè si basa su metodi di calcolo statici e su un ipotetico utente standardizzato. Diciamo che l'APE oltre ad assolvere un obbligo di legge, permette di ottenere delle indicazioni di massima sulla prestazione energetica di un fabbricato e permette di confrontare tra loro edifici diversi sulla base di un metodo standardizzato e condiviso. C'è da dire che la nuova classificazione è completamente diversa dalla precedente, poiché i descrittori da tenere in considerazione sono oggi in numero maggiore, quindi le classificazioni ante 2013 non sono confrontabili con le nuove (post 2013).


Esempio di incidenza dei singoli interventi fattibili su un immobile  

4_Cosa si intende per raccomandazioni?

Le raccomandazioni sono obbligatorie (pena l'invalidità del documento) e riguardano i possibili interventi migliorativi che chi redige l'APE consiglia, dopo averne valutato la fattibilità e l'efficacia in termini di risparmio energetico ed economico, considerando il limite massimo di 10 anni. Cioè per ogni raccomandazione l'APE deve riportare l'indice di prestazione energetica globale e la classe raggiungibile, e indicare gli interventi che garantiscono un tempo di ritorno inferiore a 10 anni.
Gli interventi, da valutare ogni volta in funzione delle caratteristiche dell'immobile (es. geometria, esposizione) e delle condizioni climatiche, igrometriche ecc., sono:
  • sull'involucro - coibentazione (di pareti esterne, pavimenti, soffitti, tetto); sostituzione degli infissi (o almeno dei vetri)
  • sugli impianti - installazione impianti solari termici; scelta di pompe di calore; o di caldaie a biomassa; installazione di impianto radiante combinato a pompe di calore o al solare termico; miglioramento del sistema di regolazione; installazione di valvole termostatiche.
Commenti

Mi sembra importante precisare che l'attestato di prestazione energetica non tiene in considerazione gli aspetti ambientali per cui la classe, più o meno buona che sia, non fornisce assolutamente indicazione dell'ecologicità di un edificio. (Potrebbe interessarti anche Classe A è sinonimo di edificio sostenibile?)
Penso che le raccomandazioni siano forse la parte più importante dell'APE perchè sono lo strumento messo nelle mani dell'utente/proprietario, con le quali si elencano gli interventi fattibili fin da subito per ottenere un miglioramento significativo della prestazione energetica e quindi un contenimento dei consumi, delle emissioni di gas serra e, non meno importante, la riduzione delle spese in bolletta.


Rodolfo Collodi architetto


NOTA:
L'APE viene rilasciato per gli edifici/unità immobiliari costruiti, venduti, o locati ad un nuovo affittuario. Nei contratti viene inserita apposita clausola con la quale il compratore o nuovo affittuario danno atto di aver ricevuto la documentazione attestante la prestazione energetica dell'edificio. Di fatto l'Attestato non sempre è obbligatorio ed è importante sapere quando è dovuto e quando invece si può non allegare perché, oltre a costituire un risparmio economico, rappresenta un elemento che influisce sulla validità dei contratti. L'argomento è abbastanza dibattuto anche in rete, quindi per approfondimenti si può fare una ricerca on-line.